Pubblicato il: 13/11/2018   

Il discorso del Sindaco Alberto Rossi durante la commemorazione dei "Caduti di Nassiriya" (Seregno, giardino pubblico "Caduti di Nassiriya", via Carroccio - 12/11/2018)

"Cari Concittadini, Gentili Autorità, cari ragazzi,

Vi ringrazio per questa presenza così numerosa. Sono davvero orgoglioso di come la città di Seregno sappia mostrarsi sensibile e solidale in simili frangenti. Anche in occasione delle recenti celebrazioni del “4 novembre”, di cui cadeva il 100° anniversario, ho visto tanta gente partecipare con profonda e sincera commozione nonostante potesse essere percepita da molti come una ricorrenza lontana, scolorita dal tempo. Mi fa piacere in particolare la presenza di così tanti ragazzi: domenica scorsa sottolineavo il valore del tramandare alle giovani generazioni racconti, valori e insegnamenti, ed è bello oggi che i veri protagonisti siano loro, a partire dal neo Sindaco dei Ragazzi.
Oggi ricordiamo gli italiani vittime dell’attentato di Nassiriya: dodici Carabinieri, cinque militari dell’Esercito, due civili. Era il 12 novembre 2003. Alle 10.40 ora locale, un camion cisterna carico di esplosivo si lanciò sulla base italiana dei Carabinieri di stanza a Nassiriya, in Iraq, dove il nostro Paese era presente nel quadro di una missione di pacificazione e di controllo della sicurezza del territorio.
Successivamente a quel drammatico episodio ve ne furono altri, all’estero, in cui esponenti delle nostre Forze Armate persero la vita nell’espletamento del proprio dovere. Nel 2009, con legge, è stata quindi istituita la “Giornata del ricordo dei Caduti militari e civili nelle missioni internazionali per la pace”.
Io quel giorno me lo ricordo bene. Avevo da poco compiuto 19 anni, ero una matricola universitaria, da un mese e mezzo circa. C’era una conferenza sull’Iraq quel giorno, a cui avevo deciso di partecipare. La notizia arrivò poco prima e lo sgomento avvolse tutti quanti. C’era un clima sospeso, surreale. Per la prima volta vedevo coi miei occhi così tante bare avvolte dal tricolore al momento del rientro in Italia. Era qualcosa che riguardava anche me. Potevano essere i nostri padri, i nostri fratelli, i nostri amici della porta accanto. Ma avevano certamente un sogno nel cuore: quello di dare un senso profondo alla divisa che indossavano e al ruolo che rivestivano. Credo che questo sia sostanzialmente il messaggio autentico che dobbiamo ricavare da cerimonie commemorative come quella odierna. Accanto al dolore che questi ricordi ancora provocano, accanto all’emozione di sentirci parte di un Paese che ha saputo dare prova del proprio attaccamento ai valori della pace, accanto a tutto questo, legittimo e condivisibile, bisogna anche trarre un insegnamento che ci guidi da qui in avanti. La memoria non può e non deve mai rappresentare un esercizio sterile, un atto formale, un adempimento istituzionale. La memoria è sempre funzionale al tentativo di fare di più e di fare meglio, evitando gli errori del passato e apprezzando pienamente ciò che la vita ci offre e i frutti che la Storia ci ha consegnato al prezzo di tante battaglie e di tanti sacrifici.
In altri termini: occorre fare tesoro della sofferenza e dell'esperienza che stanno alle nostre spalle per poter salvaguardare quei diritti di cui godiamo e che spesso tendiamo a considerare ovvi e naturali come l'aria stessa che respiriamo. Non è così, e non sono garantiti per sempre senza il nostro impegno. Lo dicevo settimana scorsa: ha ragione quel leader europeo che ha detto che non sono scontati altri decenni di pace in Europa, dopo che – un tempo record per la nostra storia – la generazione dei miei genitori, la mia e quella di voi ragazzi non hanno conosciuto la guerra. La pace va coltivata sempre, ogni giorno, senza darla mai per scontata.
Mi rivolgo allora soprattutto a voi alunni e studenti, in un certo qual modo i destinatari di questa cerimonia, proprio perché è attraverso le giovani generazioni che dobbiamo garantire il passaggio di testimone delle nostre esistenze. So che molte altre scuole avrebbero voluto unirsi a questo momento, ma la concomitanza con gli orari delle lezioni, oltre a problemi di trasporto, hanno impedito a tutti di poter essere presenti. Saluto idealmente anche coloro che sono rimasti in classe e colgo l’opportunità per ringraziare i dirigenti scolastici, i docenti, le forze dell’ordine del territorio e le associazioni combattentistiche e d’armi: grazie a chi, giorno per giorno, svolgendo con passione e dedizione il proprio lavoro, spesso nell’ombra e nel silenzio, sa offrire ai nostri ragazzi dei validi esempi a cui ispirarsi e a cui fare riferimento.
Da un lato le Forze Armate e le Forze dell’Ordine, dall’altro il mondo della scuola e dell’istruzione: ecco i nostri baluardi di civiltà che difendono quotidianamente il nostro diritto alla vita e il pieno sviluppo della nostra persona. Legalità e Cultura costituiscono le fondamenta di qualunque comunità che desideri crescere in armonia, progredendo in termini sia materiali che etici e sociali.
Portate dunque rispetto, cari ragazzi, alle vostre famiglie, ai vostri insegnanti, a chiunque indossi una divisa o rivesta un incarico a tutela della vostra incolumità e sicurezza. Mostratevi grati e riconoscenti e prendete loro a modello per un futuro che ciascuno di noi spera sia sempre migliore. Non date mai per scontata la bellezza che vi circonda perché qualcuno, in passato, ha strenuamente lottato per regalarci oggi un Paese libero e democratico.
Non disprezzate lo studio, la fatica, gli anni spesi sui libri perché ci sono tanti bambini, nel mondo, a cui ancora adesso è impedito ricevere un’istruzione o che comunque non possono recarsi a scuola per paura di violenze o di attentati. E non abbiate paura delle forze dell’ordine, perché non presidiano il territorio per incutere timore ma per permettere a tutti voi di vivere serenamente.
Aggiungo un’altra cosa. Siate orgogliosi della bandiera dell’Italia, e non solo durante gli avvenimenti sportivi. A volte sembra che non sia così facile, eppure dobbiamo ricordarci di essere orgogliosi di un Paese che ha costruito un percorso di pace, di libertà, di conquiste democratiche, anche al prezzo del proprio stesso sangue. È questo il giorno in cui ricordarci del nostro patriottismo, avendo bene in mente cosa questo significhi. Riporto una frase detta da un leader europeo di recente che mi ha colpito molto. Il patriottismo è l'esatto opposto del nazionalismo, anzi il nazionalismo è un tradimento del patriottismo. Non sono sinonimi, e la differenza è tra mettere al primo posto i propri interessi in primo luogo, senza riguardo per gli altri, oppure al contrario mantenere vivi i valori morali e gli ideali che ci tengono insieme, che è quanto una nazione ha di più caro, quanto la mantiene viva. Per questo il patriottismo è l’esatto opposto del nazionalismo, protagonista delle guerre che hanno insanguinato come mai il nostro continente nel secolo scorso.
La corona che ora andremo a deporre dinanzi alla stele, unitamente a un momento di preghiera per i defunti, sia dunque il segno umile ma tangibile di questa nostra inossidabile convinzione e del nostro impegno, assunto se possibile con maggior solennità, a farci testimoni e paladini di valori universali e mai rinunciabili. Grazie".

Alberto Rossi - Sindaco di Seregno

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