Pubblicato il: 05/02/2019   

"Cari Concittadini, Gentili Autorità,

buon pomeriggio a tutti. Direi innanzitutto che sono colpito nel vederci così in tanti. Sto vivendo sensazioni e sentimenti molto particolari, e penso che sia questa una delle emozioni in assoluto più grandi che sto vivendo da quando sono sindaco.

Mi sento agitato e onorato rispetto alla responsabilità di rappresentare la nostra comunità in questo momento. Anche un po’ commosso per questo gesto che stiamo finendo di compiere. Le commemorazioni del Giorno della Memoria sono caratterizzate, quest’anno, dalla cerimonia di posa delle Pietre d’inciampo. Per l’occasione l’Amministrazione Comunale ha costituito di recente, insieme ai comuni di Lissone e Cesano Maderno oltre e a importanti realtà associative, il Comitato delle Pietre d’inciampo Provincia di Monza e Brianza, finalizzato a diffondere sul nostro territorio l’installazione di tali “opere” con l’obiettivo di mantenere sempre alta la soglia di attenzione sui temi legati alla Shoah.

Per questo io devo ringraziare prima di tutto i sindaci Concetta Monguzzi (qui rappresentato dall’assessore Domenico Colnaghi, perché a Lissone la cerimonia è appena finita) e Maurilio Longhin. Oggi siamo stati presenti in tutte e tre le cerimonie di posa e questo evento e progetto condiviso così intenso ci ha legato ancora di più. Grazie a Roberta Miotto e l’Associazione Senza Confini, all’Anpi, alla Rete della Legalità, all’Ufficio Cultura del Comune e all’Assessore Federica Perelli, all’Accademia Filarmonica Città di Seregno, alle scuole Levi, Bassi, Parini e S. Giovanna d’Arco, alla violinista Valentina Villa, ai giovani artisti della mostra che inaugureremo alle 17 al Museo dei Vignoli.

Ho conosciuto questa iniziativa per caso: nel mio lavoro precedente uscivo dalla metro a Milano, fermata Duomo, e da un certo giorno ho notato che nella strada dalla metro al lavoro c’era qualcosa di strano su un marciapiede, ma ci ho messo un po’ di giorni prima di “inciamparci” davvero sopra, fermarmi a capire, cercare su Google qualcosa di più e rimanere affascinato da questo progetto. Quando nella Rete della Legalità, di cui ho fatto parte per qualche mese prima di decidere di impegnarmi politicamente, era uscita questa proposta, ne ero molto contento, tanto che quando li ho reincontrati subito dopo la mia elezione ho chiesto immediatamente se c’era ancora possibilità di portare avanti il progetto, e ho subito aderito con entusiasmo.

Le pietre di inciampo sono sampietrini rivestito in ottone su cui sono incisi un nome, una data e un luogo di nascita, una data e un luogo di morte. Un tassello in rilievo inserito nella pavimentazione urbana, laddove un tempo le vittime della Shoah hanno vissuto, hanno abitato, e da lì sono state strappate con la forza per venire inghiottite nella brutalità dei campi di concentramento, vittime di uno sterminio metodico messo in atto da una follia umana senza precedenti storici per dimensioni. L’obiettivo di queste installazioni è che chiunque vi passi ci “inciampi” con lo sguardo: un inciampo prima fisico e poi visivo, fino a diventare emotivo e a smuovere nelle coscienze delle considerazioni, dei pensieri, dei ricordi. La pietra di inciampo, ideata anni fa dall’artista tedesco Gunter Demnig, che oggi abbiamo l’onore di avere presente a Seregno per la cerimonia in memoria della famiglia Gani, ha davvero il merito di dare concretezza e fisicità a una commemorazione che altrimenti rischierebbe, nel comune sentire, di perdere il proprio significato. Rischierebbe di rimanere un momento istituzionale freddo e asettico, che evoca tragedie troppo lontane nel tempo e quindi lontane dalla nostra ordinaria esperienza e percezione. La pietra d’inciampo va invece “oltre”: oltre perché ci induce a fermarci, a fermare lo sguardo e la mente; ci ricorda che quello è stato e lì, in quel luogo, dove oggi le vite scorrono lievi e serene, si è consumata una sofferenza indicibile e l’uomo ha dato prova di quanta bestialità è purtroppo capace.

Sono 70 mila le vittime del nazismo che l’opera dell’artista Gunter Demnig ha riportato alla memoria fino a oggi, in oltre 2.000 città europee: è la più grande opera d’arte diffusa d’Europa. Un grande applauso a questo artista che ha posto la propria vena creativa a servizio della Storia e dell’Umanità, affinché attraverso ogni materia che l’Arte può plasmare si riesca a recuperare il senso dell’esistenza umana, del nostro stare insieme, e quel bagaglio di valori universali che nessuna legge, nessun atto o comportamento dovrà mai inficiare e soffocare.

È dal 2001, da quando è stata istituita con legge dal Parlamento italiano, che nel nostro Paese si organizzano ovunque momenti commemorativi. Ciò che non dovrà mai verificarsi è che queste cerimonie si trasformino in bei contenitori vuoti, cerimonie sterili senz’anima, organizzate più per dovere che per autentica partecipazione emotiva e culturale. Il Giorno della Memoria è soprattutto una predisposizione mentale e culturale, è una presa di coscienza e un’assunzione di responsabilità che deve accompagnarci ogni giorno. Momenti celebrativi, formali o istituzionali che rimangono relegati, non solo dal punto di vista del calendario, a 2-3 giorni di fine gennaio, servono solo a placare momentaneamente le nostre coscienze, ad alleggerire sensi di colpa, ma non saranno mai pietre di inciampo e pietre miliari dalle quali ripartire per costruire un futuro di libertà, di pace, di rispetto della dignità e della vita umana.

La famiglia Gani era residente a Milano e fu perseguitata per la sua origine ebraica. Nel 1943 Giuseppe e Speranza sono venuti a rifugiarsi a Seregno, insieme ai loro tre figli. Giuseppe continuava a fare la spola con Milano, per questioni di lavoro. I figli furono ospitati inizialmente dalla famiglia Mazza, nei locali sopra la trancia che porta quel nome, e successivamente ci fu il trasloco qui alla Ca’ Bianca, considerata luogo più sicuro, accolti dalla famiglia di Luigi Casati. Nell’agosto del 1944, dopo una soffiata evidentemente di alcuni seregnesi, i fascisti si sono introdotti nell’abitazione catturando tutta la famiglia. Portati in prigione prima a Monza, poi a San Vittore, poi a Bolzano, a ottobre sono stati deportati ad Auschwitz. Papà, mamma e il figlio Alberto, di soli 10 anni, sono stati immediatamente gassati. Regina e Ester, 18 e 16 anni, sono state utilizzate come schiave nel campo di concentramento fino all’11 febbraio 1945. Da lì in poi non si hanno più notizie.

I componenti della famiglia Gani sono tra le oltre novemila persone ritenute di razza ebraica che vivevano in Italia in quell’epoca e che, tra il 1943 e il 1945, furono uccise, la maggior parte deportata nei campi di concentramento. I loro figli erano ragazzi come quelli di oggi: andavano a scuola, avevano degli amici, avevano una vita da vivere. A seguito delle leggi razziali fasciste si ritrovarono discriminati, emarginati, offesi, “invisibili”. Non avevano più diritti, non dovevano avere più nemmeno un nome. La loro infanzia fu calpestata e vilipesa ancor prima di approdare all’età adulta, nel momento in cui la vita avrebbe dovuto offrire loro solo sogni, speranze, gioie e aspettative. Ricordare oggi la famiglia Gani, e restituirle, grazie alle Pietre d’inciampo, il nome e la visibilità di cui era stata privata (proprio due giorni fa un nostro concittadino che viveva in questa zona mi ha raccontato che sua mamma diceva spesso che avevano portato via una famiglia ebraica in zona, ma non si era mai capito se fosse una storia vera o un mito), significa anche riportare alla memoria tutte le vittime di questa immane tragedia.

Le pietre oggi siano davvero un inciampo di fronte al quale i nostri occhi, le nostre menti, i nostri cuori non possano e non debbano far finta di niente. A tale proposito riporto le parole della Senatrice a vita Liliana Segre, reduce italiana dell’Olocausto: “la chiave per comprendere le ragioni del male è l'indifferenza: quando credi che una cosa non ti tocchi, non ti riguardi, allora non c'è limite all'orrore”. Siamo qui oggi insieme per non essere indifferenti all’odio. Ecco perché occorre aprire gli occhi e imparare a coltivare e a tramandare la memoria storica. Uno degli effetti di quella tragedia ha portato a 70 anni di pace in Europa occidentale: il periodo più lungo della nostra storia. Ricordo bene un leader europeo che nel 2011, in un meeting, disse che non dobbiamo assolutamente dare per scontati altri 50 anni di pace in Europa. Ha ragione, ne sono convinto. Nel momento in cui diciamo che certi eventi o temi “non ci riguardano”, ecco che dobbiamo iniziare a preoccuparci. Oggi nella cerimonia di Cesano mi ha colpito aver iniziato con l’inno nazionale. Penso che queste cerimonie debbano anche ricordarci il nostro patriottismo, che è l’esatto opposto del nazionalismo. Il patriottismo è ciò che ricorda i nostri valori più grandi, che ci uniscono come comunità e che ci aprono. Il nazionalismo, al contrario, è quanto ci chiude, e abbiamo visto nella storia del secolo scorso quanto questo sia stato capace di creare tragedie immani.

Chiudo con un ultimo pensiero. Oggi per la nostra città è una giornata molto importante. Seregno è stata proclamata città esattamente 40 anni fa, il 26 gennaio 1979. Come amministrazione ci siamo chiesti cosa fare per celebrare a dovere un anniversario così importante. Poi, data la concomitanza delle iniziative della Giornata della Memoria, abbiamo pensato di rimandare l’evento che faremo, non solo per una questione di opportunità. In realtà per questo anniversario non poteva esserci evento migliore di questo, che ci ricorda il voler bene alla nostra terra, come luogo fisico in cui viviamo, quella terra in cui abbiamo messo queste pietre di inciampo. L’affetto per la nostra terra non significa una chiusura, una difesa, bensì una apertura a valori che ci tengono insieme, universali, sfregiati nel tempo della Shoah e dell’Olocausto, e che invece ci dobbiamo sempre di più richiamare. È bello festeggiare come città, facendo memoria delle nostre cadute, delle nostre difficoltà, delle nostre tragedie, per aprirci con slancio a un futuro importante, sottolineando i valori che come comunità ci uniscono e ci tengono insieme. Auguro allora a tutti noi seregnesi in questa occasione di far vivere questi valori tra noi. Abbiamo posto le pietre con la scritta rivolta verso il centro, perché chi entri nel cuore della nostra città abbia in mente tutto questo.

Auguro a tutti noi di saper far vivere i nostri valori, di saper resistere per i nostri valori, e auspico che la giornata di oggi possa essere uno stimolo per tutti noi, per essere un po’ anche noi una “pietra di inciampo” per chi c’è a fianco. Grazie".

Alberto Rossi - Sindaco

 

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