Pubblicato il: 23/05/2016   

Buongiorno Cari Ragazzi.

E naturalmente un cordialissimo saluto alle Autorità presenti, ai professori e agli insegnanti, a chiunque oggi sia qui in mezzo a noi per testimoniare la propria partecipazione emotiva a un anniversario così particolare.

Ringrazio tutti per essere intervenuti.

Desidero rivolgermi soprattutto agli alunni e agli studenti delle scuole di Seregno, perché questa cerimonia l’abbiamo in fondo organizzata proprio per Voi: per aiutarvi a non dimenticare.

Sapete bene chi erano Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

E saprete anche cosa è successo il 23 maggio 1992, sull’autostrada Palermo – Trapani, all’altezza di Capaci. Quel giorno venne radiocomandata la deflagrazione di 5 quintali di tritolo collocati in un sottopassaggio dell’autostrada. Morirono il giudice Giovanni Falcone e la moglie Francesca Morvillo, oltre a tre uomini della scorta. Una strage compiuta dalla mafia, un’organizzazione criminale le cui radici si perdono nella notte dei tempi e le cui vicende risultano purtroppo intrecciate a molti episodi della storia del nostro Paese. Falcone non era il primo rappresentante della legge (in quanto appartenente alla magistratura o alle varie Forze dell’Ordine) a perdere la vita in un attentato mafioso. Vi avranno senza dubbio raccontato – o lo avrete studiato – che tante, troppe sono state le vittime della mafia.

Cinquantasei giorni dopo Falcone, la mafia colpì anche Paolo Borsellino, suo collega nonché fraterno amico. Era il 19 luglio 1992. Accadde in via D’Amelio a Palermo: un’altra strage mafiosa, per mezzo di un auto imbottita di esplosivo. Anche allora morirono gli agenti di scorta, tra cui una donna.

Sono trascorsi 24 anni da queste due tragedie che hanno inciso in maniera indelebile un profondo solco nella nostre coscienze. La mafia aveva ostentato un’impressionate prova di forza, facendo soccombere in quel momento, sotto una coltre di dolore, di sangue, di detriti, di corpi lacerati e di sgomento e frustrazione, la società civile e le stesse Istituzioni. Due eccellenti e integerrimi Servitori dello Stato, nonché persone di elevatissimo profilo morale, culturale, etico e professionale, che della legalità avevano fatto il proprio “credo laico”, erano stati barbaramente assassinati non solo in una logica perversa di vendetta mafiosa, a seguito dei numerosi e importanti processi istruiti contro malavitosi, in primis il cosiddetto maxi-processo, il più grande processo penale mai celebrato al mondo con oltre 470 imputati. Falcone e Borsellino erano anche il simbolo – e per questo sono stati uccisi dalla mafia - di uno Stato di diritto che voleva finalmente squarciare il velo dell’ipocrisia e dell’omertà in un Paese, come l’Italia, dove le sponde della criminalità e delle Istituzioni apparivano a volte fin troppo vicine, a tratti fino a lambirsi e a sconfinare l’una nell’altra.

In questi 24 anni sono stati riversati da più parti fiumi di retorica, accompagnati dalle solennità di rito che la tradizione impone in simili casi. E’ sufficiente, tutto questo, per omaggiare le figure di Falcone e Borsellino e di quanti, insieme a loro, hanno adempiuto al proprio dovere in nome della legalità, della giustizia, della trasparenza, della democrazia?

Personalmente dico di no: non penso possa bastare se l’obiettivo è quello di raccogliere il loro testimone per continuare a lottare, nelle vie istituzionali e giuridiche, contro le organizzazioni criminali, contro la violenza, contro la corruzione, contro tutto ciò che offende i nostri diritti e i nostri valori culturali di riferimento.

La storia degli ultimi 24 anni dimostra che purtroppo resta molto da fare, in questa direzione, nel nostro Paese. La forza della memoria deve unirsi necessariamente a quella del cambiamento: le loro idee – ossia le idee di giustizia e di legalità di Falcone e Borsellino – devono poter camminare sulle nostre gambe.

L’albero che vedete piantato in questo parco è “l’albero di Falcone”. Il Comune di Seregno aveva aderito all’iniziativa lanciata dall’omonima Fondazione per cercare di richiamare l’attenzione della cittadinanza, per non far spegnere il ricordo.

Da oggi in avanti vorremmo che questo albero fiorisse e che le sue foglie fossero i tanti proponimenti e le riflessioni dei nostri ragazzi. Il gesto simbolico di appendere ai rami questi pensieri è un modo per rammentare a noi stessi quali responsabilità abbiamo – adulti e bambini – nel far crescere e rinvigorire “l’albero della legalità”. I principi su cui si fonda la nostra società e quelli per cui magistrati e forze dell’ordine lavorano quotidianamente, spesso nell’ombra e spesso a discapito delle proprie vite, costituiscono l’humus, il terreno fertile sul quale attecchire. Poi vi sono personaggi illustri, come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, che raffigurano le radici di questa pianta: solide e robuste. I suoi rami, i suoi fiori e i suoi frutti dipendono invece da noi: dalla nostra volontà e capacità di alimentare giorno per giorno il rispetto delle regole e di insegnarlo alle future generazioni.

Giovanni Falcone, in un discorso tenuto agli studenti di Bassano del Grappa il 26 gennaio 1989, affermò che “la vera soluzione sta nell’invocare, nel lavorare affinché lo Stato diventi più credibile, perché noi ci dobbiamo identificare di più in queste istituzioni”.

Credibile: ecco cosa deve essere la nostra società. E per essere credibili dobbiamo farci paladini di legalità. Ognuno di noi, ciascuno nella propria sfera privata e lavorativa o scolastica, può farsi esempio di correttezza e di giustizia. Solo così possiamo fertilizzare aree sempre più vaste per sottrarre terreno alla gramigna della criminalità e della corruzione. Solo così possiamo onorare davvero, senza indulgere in sterili e cerimoniose formalità, i Servitori dello Stato.

Grazie a tutti per l’attenzione.

 

Edoardo Mazza - Sindaco di Seregno

(Seregno, Parco "Falcone - Borsellino" - 23 maggio 2016)